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Fo-room

CT-XFCSYB

Fo-room: buco e piazza. Una sottrazione dell’edificio per restituire una piazza alla città. L’intorno diventa pedonale, percorribile. L’ambiente ripulito dal traffico, suggerisce un approccio “smart”:bici elettriche, orti urbani, controllo biolclimatico e recupero delle acque reflue. L’approccio progettuale è quello del recupero. Lo scheletro viene mantenuto e le inclinazioni in copertura indicano gli spalti del teatro all’aperto. Un tetto piazza come soluzione di continuità con via Teatro Massimo e Piazza Bellini. Le pareti scorrevoli interne consentono spazi flessibili e modulabili a seconda delle funzioni svolte. Il foro in copertura permette il riciclo delle acque piovane e il successivo riutilizzo per l'irrigazione dell'orto.
Un edificio nato da sottrazioni che diventano addizioni.



Tavole



G00 - Immagini generali



T01 - Inserimento urbano

Il tema della riqualificazione urbana in aree consolidate, come il caso del contesto catanese in cui ci troviamo ad operare, è una delle grandi questioni che pone la città contemporanea e che necessariamente, mette in relazione il progetto di architettura all’attualità. Diventano, quindi, temi fondanti la dimensione metropolitana del contesto di riferimento, il significato degli spazi aperti e chiusi, la questione della residenza, la percezione del passaggio da uno spazio pubblico a semipubblico, a privato, la connotazione di un luogo e quindi il senso di identità e di appartenenza appunto tra luogo e comunità, sino al disegno delle attrezzature.
La condizione insediativa che contraddistingue l’area di intervento, situata nelle immediate vicinanze del centro storico di Catania, alla fine di Via Teatro Massimo, è definita da edifici di epoche differenti, di tipo principalmente residenziale, ai quali si contrappongono eventi puntuali definiti da complessi e spazi pubblici differenziati, quali ad esempio il Teatro Massimo e la corte Cutelli con le omonima piazze.
L’edificio oggetto del concorso, per la sua collocazione, offre uno spunto di “ricucitura urbana”, che prende avvio proprio da quel sistema di piazze che definiscono l’intorno: piazza Teatro Massimo, primariamente, per contrapposizione visiva, poi piazza Cutelli, piazza Martiri della Libertà e piazza A. Majorana; non a caso anche il perimetro di intervento stesso è una piazza (piazza Pietro Lupo). La volontà di mettere l’impianto dell’edificio esistente, effettivamente, nelle condizioni di potersi relazionare con il contesto circostante, notevolmente predominante a livello altimetrico, ha portato alla proposta di una piazza in quota, sulla copertura dell’edificio stesso, con accesso tramite una rampa posta sul fronte sud, che traccia idealmente una sorta di invito da Via Teatro Massimo, l’asse primario di “ricucitura”. A piano terra tale operazione si traduce nell’aspirazione di riappropriarsi di uno spazio che sia effettivamente piazza e quindi incrocio e percorrenza, da qui il concetto di poter attraversare l’edificio, operando un taglio, che lo rendesse attraversabile e vivibile da tutti i fronti e mettesse in comunicazione il versante nord e sud della piazza stessa.



G01 - Inserimento urbano



T02 - Funzioni

L’obiettivo legato alla volontà di ristrutturare l’immobile e contestualmente riqualificare l’intorno, nasce prima di tutto dall’esigenza di dare una connotazione sociale all’area per trasformarla in “luogo”, ovvero spazio della comunità, fatto di tutti quei servizi alla residenza, che ad oggi risultano mancanti. In tal senso i “bisogni” sono dettati dal tessuto urbano in cui si opera, dominato da una forte concentrazione abitativa multiculturale ed etnica e al contempo dalla carenza di spazi attrezzabili, ad uso dei cittadini stessi. Principio fondamentale dell’idea di progetto è la flessibilità, la possibilità, ovvero, di adattare gli spazi all’evolversi delle necessità della comunità o dell’individuo, promuovendo una cooperazione , che può tradursi nella condivisione di un ambiente al contempo pubblico e privato, come quello definito dall’orto sociale/didattico, non a caso posto al centro della piazza interna a piano terra, ad attraversamento dell’edificio esistente, come a sottolineare la commistione pubblico-privato che genera appunto “comunità”. In relazione diretta, tanto visiva che funzionale, il bar-ristorante su due livelli, in modo da avere una fruizione ad ampio spettro, che possa dare adito a campagne promozionali legate ai prodotti stessi. La ciclo-officina e il ciclo-noleggio, in comunicazione l’uno all’altro, offrono un servizio alla comunità che al contempo concede una soluzione sostitutiva all’utilizzo delle autovetture e favorisce la vivibilità della piazza stessa. La necessità di donare poi uno spazio che possa essere “officina” di idee e di scambi relazionali è il pensiero fondante del “fab-lab”, un laboratorio in cui concentrare sapere e innovazione, artigianato e tecnologie, che metta a confronto differenti generazioni e culture e possa autopromuoversi alla collettività, mediante esposizioni e rassegne. E’ questo l’ambiente di maggiori dimensioni, che in assoluto è designato alla comunità e pensato perciò per avere il massimo della adattabilità e della interazione con il contesto. Infine la piazza in copertura, pensata come “teatro” all’aperto, superficie a servizio della comunità dove si possono concentrare più funzioni, siano queste legate alla socialità quotidiana o ad eventi eccezionali, come ad esempio esibizioni o concerti, che possano richiamare la comunità e svolgersi, soprattutto, in un ambiente dedicato.



G02 - Funzioni



T03 - Relazioni

Piazza P.Lupo ed il suo edificio omonimo gravitano nel primo quartiere storico della città di Catania “la Civita”, in questo ambito del centro si evidenziano molte inefficienze e fragilità, registrando un generale stato di incuria e di degrado, con una forte densità abitativa multiculturale ed etnica, assente di spazi verdi, di luoghi ricreativi e di servizi alla società.
Intervenire in un tessuto urbano così complesso e degradato ci ha spinti fin da subito a cercare le connessioni tra la piazza e la città, le relazioni tra i suoi abitanti e il quartiere, per ottenere un miglioramento della vivibilità e permettere ai cittadini di rimpossessarsi dell’ex palestra Lupo e della sua piazza oggi vista come un “non luogo”, simbolo di abbandono e incuria.
Risulta subito evidente la necessità di Aprire l’edificio verso l’esterno e fonderlo con la piazza, un luogo Aperto e dinamico, non più intercluso da inferriate, cancelli e macchine posteggiate, una piazza nella piazza per rispondere al bisogno di partecipazione e collettività, un luogo per tutti i cittadini (famiglie, anziani, giovani e bambini).
Un luogo dove svolgere attività artigianali, ricreative, artistiche e culturali, fornendo servizi all’abitare polivalenti, dai corsi di lingua all’artigianato, da sale riunioni a laboratorio d’idee, da teatro a spazio espositivo, da cucina “collettiva” a orto didattico per i più piccoli.
Un edificio “camaleontico” da vivere a 360°, che muta il suo aspetto e le sue funzioni, capace di adattarsi ai cambiamenti e alle esigenze sociali e culturali, un edificio percorribile e attraversabile non solo al suo interno ma anche al suo esterno, non autoreferenziale e respingente, un luogo che sia espressione di un comune possesso e di un ambiente aperto e senza barriere, con un continuo intersecarsi di movimenti ascendenti e discendenti che rendono l’edificio fruibile a prescindere dagli eventi in esso svolti. Inoltre si è previsto anche l’allontanamento della viabilità e dei mezzi pesanti incidenti sulla piazza, ciò creerà un sicuro miglioramento della qualità della vita, con l’eliminazione dei grandi agenti inquinanti e dell’inquinamento acustico.
Le relazioni che in esso si creano, coniugano le esigenze multiculturali del quartiere e dei suoi visitatori, risana la ferita con il centro storico e mira al miglioramento generale della qualità sociale, urbana e ambientale.



G03 - Relazioni



T04 - Interni

La linea guida del progetto si fonda sull’idea della centralità della piazza, intesa come “luogo” fatto di incontri, interazioni e scambi tanto produttivi che sociali. Questo ha condotto ad operare un taglio, uno sventramento all’interno dell’edificio, di cui si è conservato solo lo scheletro strutturale, per riappropriarsi di uno spazio ormai destinato al transito di veicoli, che ha, appunto, perso ogni connotazione di piazza. Intorno a tale snodo centrale si dispongono tutte quelle attività più propriamente pubbliche, quali il bar, il ristorante e nelle immediate vicinanze il “fab-lab”. Ristrutturare per riqualificare l’edificio esistente è coinciso nel nostro caso con una volontà di depurazione e di apertura verso l’esterno che ha portato a concepire le chiusure verticali come completamente vetrate, ad eccezione di quelle che necessitano di una parete opaca e ad utilizzare sistemi di ombreggiamento, che al contempo dichiarassero l’abstract stesso di progetto: interazione, sostenibilità e flessibilità massima degli spazi. Nasce da qui e cioè dall’obbiettivo di esplorare l’adattabilità della costruzione, il concetto di pareti scorrevoli, intese come possibilità di rispondere ad esigenze e circostanze diverse sia da un punto di vista funzionale, che fisico-costruttivo. E il luogo per eccellenza deputato a tale aspirazione risulta essere il “fab-lab”, un laboratorio all’interno del quale è la comunità stessa a decretare la tipologia di funzione prevalente, in base al mutare delle necessità e del bisogno di spazi richiesti, siano questi ad uso permanente o temporaneo. A fianco una serie di servizi alla collettività, tra cui la ciclo-officina e il ciclo-noleggio, in diretta comunicazione con l’asse viario principale della ricucitura urbana. Infine la scelta delle finestre verticali rappresenta la soluzione migliore per garantire allo stesso tempo la quantità di luce naturale necessaria, la visione verso l’esterno e la penetrazione in profondità della luce. L’aggetto della copertura, la rampa a sud e i brise-soleil orientabili in legno permettono l’ingresso del sole, specialmente nel periodo invernale e lo schermano nel periodo estivo, evitando il surriscaldamento.



G04 - Interni



T05 - Conclusioni

L’esperienza del Fo-Room s’inserisce all’interno di un contesto focalizzato sul recupero dell’identità dell’Architettura esistente. L’idea motrice che ha spinto la progettazione del Fo-Room prevede la liberazione dalla rigidità architettonica, liberando l’anima dell’edificio verso un “concept” di apertura. L’occlusione dell’esistente si tramuta in accessibilità futura.
L’intervento è stato pensato come un invito al contesto. Il territorio deve impostare la propria metamorfosi dall’interno, investendo sullo scarto, puntando alla riscoperta dell’esistente, escludendo di sottrarre a sé ulteriore spazio aperto, anzi prefiggendosi l’obiettivo di recuperarne.
La strategia del Fo-Room non si attiene, esclusivamente, a ragioni di ordine progettuale, ma punta a migliorare l’impatto che il progetto può avere in ambito sociale, ambientale ed economico.
Investire sullo scarto urbano, significa valorizzare il capitale umano esistente, puntare su obiettivi d’inserimento e coesione sociale, trasformando la città, creando un unico tessuto compatto e congiunto.
Ogni attività prevista si relaziona al contesto pubblico e vuole rappresentare l’idea di un’Architettura Aperta.
L’agorà è un tema forte nel panorama urbano italiano, e specialmente in un contesto con tradizioni ben radicate come quello siciliano. La piazza (Forum) deve identificarsi nelle gente che la popola, connettendosi al contesto e amplificando le percezioni sensoriali tra Uomo e Architettura. Di contro l’Architettura si deve aprire all’Uomo, trovando compromessi nella “snaturizzazione” della materia. La stanza (Room) senza pareti è un ossimoro. Il progetto di Fo-Room vuole vincere questa sfida. Il cielo entra letteralmente dentro la stanza.
L’idea di transito tra dentro-fuori è estesa, quindi, non solo a un processo fisico-motorio, ma sconfina nel campo delle idee, dell’arte, di ogni attività condivisa che genera il miglioramento della vivibilità donando al quartiere un luogo di servizi, svago e relax.
Il Fo-room vuole anche richiamare a se il proverbio siciliano “Cù nesci arrinesci”, come simbolismo dell’abbattimento dei limiti e dei pregiudizi, dell’abbattimento delle barriere fisiche e la conquista del confronto culturale, un luogo che si apre e si fonde con la piazza, che invita ad “uscire” dall’edificio per “riconquistare” il quartiere e la città.