Il progetto mira ad innovare la rigidità dell’abitare cooperativo tramite un intervento pioneristico che rompe la monofunzionalità del tessuto in cui si inserisce, ragionando attorno a tre parole chiave: abitare, condividere e agire.
L’abitare assume oggi una prospettiva fluida, comprendente stili di vita e attività plurali non riconducibili a modelli semplici. Lavorare, consumare, produrre e risiedere si mescolano e si integrano servendosi di una infrastruttura di spazi condivisi che svolgono un ruolo di matrice per la creazione di socialità. La piattaforma condivisa crea relazioni di senso in grado di ospitare un ampio margine di azione autonoma. Aprire l’architettura alle necessità, ai bisogni e all’opportunità emergenti permette di ospitare la complessità dell’abitare contemporaneo.
L’area ex-Garzanti si inserisce ai margini di un’isola monofunzionale della produzione industriale, risultato della oramai superata idea di zoning. Oggi, all’interno di questa estesa piastra produttiva, assistiamo ad un processo di differenziazione e riconversione che complica la mono-funzionalità del tessuto, rendendo lo stesso un tessuto di servizi e attività economiche plurali. Tuttavia il processo in atto si contraddistingue per una vocazione che esclude uno scambio diretto tra modelli abitativi e funzioni differenti. Il pattern emergente è un insieme di funzioni separate e distinte che non dialogano tra loro.
La nostra idea è proporre un modello abitativo diverso in grado di rompere tale rigidità, riprendendo gli stili abitativi “tipologici” del territorio (l’industria, le coree, le ville e le case bottega), reinterpretarli e integrarli per la creazione di un modello abitativo che consideri fino in fondo la necessità di “complicare” le relazioni tra usi, funzioni e popolazioni differenti.
Oltre a questi quattro elementi, l’area è fortemente caratterizzata da un intorno e da confini ben definiti e con caratteri molteplici. Le infrastrutture (in particolare la strada provinciale e la metropolitana) definiscono dei limiti ma anche la grande opportunità per far compiere il salto di scala al progetto. Lungo l’asse stradale il progetto inserisce degli elementi architettonici che enfatizzano il rapporto con la strada, strutturandosi come corpi visibili dall’esterno: dei landmark riconoscibili.
L’area agricola rappresenta un paesaggio di pregio che viene connesso all’area sia visivamente (con il giardino della biodiversità), sia con connessioni sistemiche (ad esempio la ciclabilità e il grande parco).
L’area industriale oggi è un limite. Domani, se il processo di riconversione si protrarrà, potrà essere un’opportunità per la creazione di un ambito urbano in grado di fondersi con il nuovo in divenire. Qui il progetto gioca un ruolo pioneristico per la strutturazione del contesto.
In questa prospettiva gli spazi pubblici della grande piazza interpretano l’intorno e si caricano di responsabilità per la di nuovi legami tesi alla sosta e all’attraversamento.
Il progetto pone le basi per la creazione di un ambiente complesso, creando gli spazi necessari per la realizzazione di attività e funzioni differenti in grado di guardare alle diverse scale. Si dota di quattro tipi architettonici rispondenti a vocazioni distinte, a loro volta aperti a progressive modificazioni e adattamenti funzionali interni: un “Job House”, un “Health Center”, tre edifici prevalentemente residenziali e un edificio di Social Housing. Il “Job House” è predisposto per ospitare un modello abitativo basato sulla produzione creativa fornendo servizi condivisi ed integrativi per il lavoro. L’Health Center considera il tema della salute e del benessere predisponendo un “food market”, una palestra e uno spazio culturale aperto al quartiere che cerca di superare i vecchi modelli di biblioteca o centro civico. L’edificio dedicato al Social Housing, posto al centro dell’area, ospiterà la maggior parte dei servizi per l’abitare condiviso residenziale (tra tutti il Commons Center per la gestione e la valorizzazione dell’area). Il concepimento di queste funzioni, oltre a garantire delle relazioni di senso interne ed esterne agli edifici, garantisce il raggiungimento di una elevata multiscalarità nonchè l’assorbimento di popolazioni differenti, scandendo i ritmi urbani lungo tutte le 24 ore. Questi obiettivi vengono sviluppati anche per la concezione dello spazio aperto. Immaginato come una grande piazza, lo spazio aperto è stato concepito per poter creare dei microcosmi locali e al contempo ospitare eventi temporanei di interesse territoriale.
Così facendo, il progetto riesce a far coesistere l'abitare di prossimità con le condizioni necessarie per la creazione di un polo attrattore che miri alla scala metropolitana sfruttando l'elevata accessibilità del territorio. L'idea è d’innestare nel quartiere motivi e ragioni plurali per aprire l’area ad un'ampia gamma di users potenziali che possano contaminare sinergicamente l'identità del contesto, rispondendo sia ai vari bisogni quotidiani locali, sia inserendo funzioni e servizi di interesse diffuso per il contesto metropolitano.
Ogni servizio ha una precisa identificazione spaziale. Tuttavia il progetto prevede che ciascuna attività non si chiuda in sé stessa, ma bensì divenga un luogo di relazione e di scambio con il territorio. Le relazioni di senso tra servizi e utenza mira alla creazione di una rete d'interazione complessa tra le parti, divenendo occasione per la creazione di luoghi policentrici di socialità.
A strutturare il disegno è una matrice generativa di spazi condivisi a servizio delle varie funzioni previste. Tale approccio viene proposto sia internamente ai singoli edifici (creando forme di socialità e di scambio interni), sia esternamente (innescando scambi e interazioni tra popolazioni di edifici differenti o addirittura ambiti territoriali rispondenti alla scala cittadina e metropolitana).
Elemento di spicco all’interno del quartiere è il “Commons Center”, ovvero il cervello operativo per la gestione di tutti gli spazi condivisi, dei servizi e delle utenze dell'area, che si occupa della promozione del progetto nel territorio alle sue diverse scale. Composto da un board che svolge un ruolo di agenzia, esso si predispone come un elemento di interfaccia con la comunità, occupandosi delle questioni funzionali nonché dello sviluppo della coesione sociale.
Tuttavia non mancano alte occasioni per le creazioni di spazi per le relazioni sociali. Il progetto prevede infatti lo sviluppo di uno spazio culturale, di un asilo, nonché di altri luoghi volti alla produzione di servizi che garantiscono la formazione e la strutturazione di spazi per la comunità. In questi casi però i servizi non verranno gestisti direttamente dalla cooperativa ma assumeranno modelli gestionali differenti, venendo affidati a terzi. A volte ciò avverrà prediligendo l’affidamento di servizi collettivi ritenuti rilevanti a soggetti terzi (ad esempio altre cooperative o associazioni), oppure direttamente al libero mercato. Il coinvolgimento di soggetti esterni all’area garantisce un maggiore scambio ed una più alta sostenibilità nella gestione economica dei servizi.
Riprendendo il concetto di spazio d’azione come principio di libertà di agire e di trasformare l’area dal punto di vista funzionale e sviluppando spazi che possano essere trasformati dagli abitanti nel corso del loro utilizzo, l’approccio per tutti gli interni degli edifici si fonda sulla flessibilità e sulla variabilità delle necessità di un utente di abitare un luogo.
Al piano terra tutti gli spazi contenuti negli edifici residenziali diventano spazi d’azione, luoghi all’interno dei quali l’utente genera e inserisce la funzione, non predeterminata dal progetto, lasciando così la funzione alla domanda di mercato.
Gli alloggi negli edifici residenziali si costituiscono su un modulo di larghezza 3 metri. Su questa base sono disegnati i diversi tagli di alloggi, che possono essere assemblati a seconda delle necessità, andando a creare una diversificazione tipologica in pianta ad ogni piano, venendo così incontro alle esigenze degli utenti finali.
L’edificio terziario definito job house è caratterizzato da uno spazio pubblico a piano terra, mentre al primo piano sono stati inseriti una serie di spazi di lavoro condivisi dal punto di vista dei servizi per l’ufficio. La flessibilità degli spazi interni mediante pareti mobili permettono di ricavare spazi diversificati come postazioni di lavoro, “tuchdown”, stanze riservate, focus booths, spazi aperti di progettazione, stanze condivise.
Tutto ciò consente alle persone di scegliere come e dove lavorare. Un ambiente di lavoro flessibile può bilanciare le esigenze nascenti dal lavoro individuale con necessità di interazione.
Le ville urbane, sono residenze private poste al piano superiore degli uffici della job house. Sono residenze che recuperano lo spazio privato dell’abitare aumentando i metri quadri a persona concessi e trasformandosi in base all’utenza in residenze/lavoro per professionisti oppure semplicemente in residenze con uno spazio aperto privato con giardino mediato però dal piano del lavoro sottostante.
L’edificio denominato Health center è caratterizzato al suo interno da uno spazio con attività attrattive per l’area. Gli interni sono completamente liberi e la grande piazza viene introiettata all’interno dell’edificio divenendone un prolungamento. Il tetto allo stesso modo diventa una piazza rialzata all’aperto per attività legate alle funzioni sottostanti.
I tentativi d’innovazione sono diversi e spingono il progetto a sfidare la complessità richiesta dal bando mirando a generare un progetto catalizzatore per una nuova idea per l’abitare cooperativo.
L’architettura si carica di senso ed identità (pensare ad esempio a “Job House”, “Health Center”, o al “Commons Center”) cercando di attirare verso di sé stili di vita plurali. Tuttavia lo spazio (sia costruito, sia aperto) è stato concepito come “spazio d’azione” dove saranno gli utenti a definire e ridefinere (nel tempo) di significato l’area, lasciando un margine di flessibilità in grado di ospitare le domande emergenti.
Questo grande spazio d’azione viene caricato di senso mediante l’introduzione di una complessa infrastruttura di spazi e servizi condivisi, che si pongono come elementi generatrici di relazioni funzionali e sociali. Tale piattaforma guarda alle diverse scale mischiandole ed integrandole in un unico disegno che dialoga con popolazioni e utenti diversi, aprendosi alle diverse fasce orarie.
L’obiettivo del progetto non è tanto quello di definire lo spazio in maniera unitaria, ma bensì quello di creare delle condizioni generative e rigenerative che consentano allo stesso di adattarsi (nel breve e nel lungo termine) progressivamente, rispondendo ai cambiamenti sociali ed economici. Questa flessibilità non è visibile solo all’interno dell’area, ma anche nel rapporto con il suo intorno. Infatti il disegno è stato pensato per essere in sé funzionale e funzionante, ma al contempo apribile ai futuri cambiamenti del tessuto produttivo in cui si inserisce.
Il tema dell’abitare assume delle peculiarità che un progetto che mira ad essere innovativo deve saper garantire. Da una parte deve saper ospitare realmente il pluralismo della società contemporanea (quindi idee di vita e bisogni differenti), dall’altra deve offrire le condizioni basilari per permettere ai futuri abitanti (siano essi lavoratori, consumatori, residenti, ecc.) di poter condividere economie, servizi, spazi, per ampliare il ventaglio di possibilità e di opportunità scaturite dalle relazioni sociali.
L’obiettivo è superare l’idea di rigidità dell’abitare cooperativo inteso come spazi e funzioni per la residenza, cercando di offrire un luogo dinamico aperto ad interazioni innovative tra funzioni e popolazioni. Per far ciò il tessuto deve essere aperto alle potenzialità multiscalari porta